Un carisma in formazione: la nascita di CL

Nella serata del 7 novembre, dove ho presentato il mio Una storia di popolo, ho risposto anche ad una domanda sul libro di Giussani, Una rivoluzione di sè, che raccoglie gli interventi degli anni 1968/70. Ecco la mia risposta, in cui sottolineo quello che secondo me è il filo rosso del libro.

È una verità storica che a un certo punto nel linguaggio di GS/CL prevale il termine comunione rispetto alla parola comunità. Qui a Rimini abbiamo avuto i gruppi di comunione, poi il movimento di comunione. È interessante come Giussani ha spiegato questo passaggio: «Risale al periodo di cui stiamo parlando (gli anni 68/69) anche il graduale prevalere, nel nostro linguaggio, della parola “comunione” sulla parola “comunità”. Non si tratta ovviamente di una pura questione di termini, ma piuttosto di una maturazione di concetti. Abbiamo via via preferito la parola “comunione” perché è la meno equivocabile del vocabolario cristiano. Essa indica infatti la radice genetica e il valore ontologico dell’associarsi cristiano, mentre la parola “comunità” delinea più propriamente la conseguenza – rilevabile a livello sociale – della comunione medesima». L. Giussani, Il movimento di Comunione e liberazione, Rizzoli, p. 54.

Una premessa utile a inquadrare quanti andrò a dire.

Nel libro Una rivoluzione di sé a un certo punto Giussani dice:

Oggi dobbiamo aiutarci a identificare, sul nostro orizzonte di vita, ciò in cui speriamo, cioè ciò su cui appoggiare la vita. 

L’urgenza che appariva dopo la rivoluzione del ’68, è la stessa urgenza di oggi, dopo la crisi della globalizzazione, la fine della cristianità, il cambiamento d’epoca che stiamo vivendo.

A me sembra che tutto il libro porti ad identificare ciò in cui è possibile sperare per sé e per il mondo. 

A un certo punto, nel capitolo quarto, Giussani parla con insistenza di Cristo nostra salvezza, Cristo nostra speranza, ecc

Dice che la formula Cristo nostra speranza è la formula dell’antropologia cristiana. Spiega che speranza è legata a futuro (pensiamo a quanta paura del futuro oggi) fino a collegare speranza e pace (e qui non c’è bisogno di commenti).

Questo passaggio a me pare come un filo rosso di tutto il libro perché questo tentativo di cercare ciò sui cui poggia la vita è proprio ciò che si proponeva nel rapporto con i sopravvissuti del Peguy. Ed è ciò che interessa noi oggi. Da dove possiamo ripartire, in cosa possiamo riporre speranza?

Non appena ho cominciato a leggere il libro mi è venuto spontaneo condividere con gli amici del centro culturale il Portico del Vasaio questa osservazione: leggete, leggete il nuovo libro, si vede il carisma di Giussani in formazione. Dopo che il ’68 aveva mandato in crisi l’esperienza di GS, si vede Giussani che, con sorprendente lucidità e profezia in alcuni passaggi, ripensa al suo modo di vivere e proporre il cristianesimo.  

A me sembra che la provocazione che viene da questo libro oggi e che lo rende attuale nonostante i 50 e più ani di distanza, è che si può ripartire, si può avere speranza, ritornando all’origine, al punto sorgivo, all’incontro con Cristo, ovvero all’incontro oggi con persone la cui vita testimonia quale novità accade quando un’umanità ferita e mendicante incrocia lo sguardo di Cristo. 

Perché tutto ciò non rimanga astratto, nel libro Giussani indica anche alcune note fondamentali di metodo,.

Primo fattore di metodo: L’immanenza all’avvenimento della comunione in cui siamo stati inseriti grazie all’incontro con Cristo 

Secondo fattore: L’immanenza alle esigenze e alle ferite dell’umanità che poi sono le stesse nostre esigenze e ferite

Permettetemi una lunga citazione ma valgono più le parole del Gius che le mie.

«La parola che ci è stata data è un fatto, è un avvenimento, l’avvenimento di questo Uomo, corpo fatto di carne e ossa.  E questo avvenimento continua nella storia, è l’avvenimento della nostra comunione.

Quindi cosa abbiamo da dare agli uomini? «Primo, l’essere dentro la comunione, perché è questo avvenimento che prima dei nostri pensieri  ci offre, ci dà un principio da cui si generano i nostri giudizi  e tutti i nostri nessi.

Secondo, l’essere fin nel midollo delle ossa, dentro le esigenze e i bisogni  dell’umanità, dell’uomo, perché è nel rapporto nell’immedesimazione con le esigenze e i bisogni dell’uomo  che quel principio, che l’avvenimento della comunione s’arricchisce, sprigiona tutte le sue intuizioni e tutte le sue affermazioni, chiarisce tutte quante le sue prospettive , e s’allarga,  s’allarga, e crea la grande parola che siamo tenuti a dire al mondo, la Sua parola, ma continuamente tradotta  secondo la mentalità, la capacità comprensiva, il linguaggio dell’epoca, del momento, della situazione in cui viviamo».

E poi Giussani fa un nota bene che aiuta a capire il passaggio precedente.

«Provate a pensare come facciamo ad essere dentro le esigenze e i bisogni degli uomini, se non siano seri, leali, appassionati, attenti a noi stessi? Perché le esigenze e i bisogni dell’uomo in Africa o in India sono esigenze e bisogni le cui radici sono in me come in lui, e soltanto percependole in me capisco lui. Altrimenti diventa un interesse puramente sociologico o politico».

Una breve nota storia: è questa un’impostazione del rapporto Chiesa mondo assolutamente originale e rivoluzionaria per quel tempo (e valida ancora oggi».

Non esiste una Chiesa che deve rapportarsi con il mondo, come fossero due realtà distanti e del tutto diverse, che devono trovare il modo di entrare in relazione.  La Chiesa siamo noi immersi nel mondo, un pezzo di mondo rinnovato dalla comunione. Se ci concepiamo in questo modo, possiamo intercettare le ferite e le domande degli altri uomini, le intercettiamo perché le riconosciamo come nostre, le condividiamo. Questo a me sembra uni degli spunti più originali del libro.

Parole dette più di 50 anni fa e che sembrano pronunciate oggi. Sorprendentemente profetiche. Il papa ci ha invitato ad approfondire il carisma. A me sembra che qui Giussani descriva la dinamica e il lavoro da fare per questo approfondimento.