Perchè ho scritto “Un’idea poetica di Cristo”

 Questo è un libro che narra l’incrocio  tra due storie, l’incontro a distanza fra due grandi uomini.

La prima storia è quella di un filosofo-teologo, dell’Ottocento, Vito Fornari. Un personaggio certamente geniale, che però, non avendo insegnato in università, non ha potuto costituire una scuola, lasciare un’eredità culturale. Ha lasciato solo eccelsi estimatori come Giorgio La Pira, Paolo VI e, appunto, Luigi Giussani.

 In queste due storie è decisivo in entrambe il momento dell’adolescenza. Vito Fornari a quell’età era alla ricerca di un punto unitario, a cui ricondurre tutto, l’universo e la storia. A un certo punto lo individua nel Verbo che si fa carne, che per lui è la Bellezza che si fa farne, quella Bellezza per cui è stato creato il mondo, quella Bellezza attesa da tutta la storia anche quella profana, manifestatasi nell’uomo Gesù di Nazareth,  morto e risorto, che ora vive nella Chiesa e che attira a sé tutti i popoli e tutti gli uomini, fino alla parusia finale. Insomma, come avrebbe detto Giovanni Paolo II: Cristo centro del cosmo e della storia. E sappiamo quanto l’incipit della prima enciclica di Wojtyla abbia fatto vibrare l’animo di Giussani.

Questa profonda intuizione Fornari la condensa, si fa per dire, in un libro, Della vita di Gesù Cristo, in cinque volumi, 1.650 pagine.

Questo libro, questo mattone, diremmo oggi, finisce nelle mani di un giovane sacerdote ambrosiano, don Luigi Giussani. Ecco la seconda storia. Nel 1984, a trent’anni dalla nascita di Gioventù Studentesca che poi diventerà Comunione e Liberazione, gli chiedono quali sono stati gli autori che più hanno influito sula sua formazione, o ancora meglio, su quel modo particolare di proporre Cristo e la Chiesa agli uomini di oggi.

Giussani cita il fior fiore della teologia fra Ottocento e Novecento. Ad un certo punto quando gli chiedono se il tale autore è stato per lui fondamentale, lui risponde di no, e precisa che invece è stato per lui fondamentale, come genesi dell’idea poetica di Cristo,  proprio il nostro Vito Fornari con la sua Vita di Gesù Cristo. Per nessuno dei tanti autori citati, certamente più blasonati di Fornari, usa la locuzione “per me fondamentale”. E poi lo citerà altre tre volte, sempre accompagnato da espressioni lusinghiere: il grande Fornari, un fenomeno, acuto filosofo, se questi libri fossero letti  ancora adesso! Le citazioni sono due volte nei colloqui con una casa di Memores Domini, poi finiti nel volume L’autocoscienza del cosmo, e l’ultima volta quando gli conferiscono a Bassano del Grappa il premio della cultura cattolica, dove mette sullo stesso piano Manzoni, Rosmini e Fornari, per dire che dopo questa felice stagione dell’Ottocento niente di eguale si è manifestato nel Novecento italiano.

A me tutto questo è parso più che sufficiente per indagare, per capire in cosa Fornari sia stato così fondamentale. Cosa intendesse per genesi poetica dell’idea di Cristo. E dopo aver letto e studiato, a me è sembrato di individuare il nocciolo della questione in quel “bel giorno”, più volte citato da Giussani, in cui da adolescente ascolta il suo insegnante di religione don Gaetano Corti commentare il prologo della Vangelo di Giovanni, che allora si leggeva in ogni messa. Ma quella volta, udendo il professore spiegare che se il Verbo si è fatto carne, significa che la bellezza si è fatta carne, che la giustizia si è fata carne, che la bontà si è fatta carne, che il termine delle aspirazioni dell’uomo si è fatto carne, qualcosa cambia. Permettetemi di rileggervi il racconto: «Per me tutto avvenne come la sorpresa di un bel giorno quando un insegnante di prima liceo – avevo quindici anni – lesse e spiegò la prima pagina del Vangelo di Giovanni […] La mia vita da giovanissimo è stata letteralmente investita da questo […] Adesso, quando faccio l’esame di coscienza, sono costretto a chiedere alla misericordia di Cristo, attraverso la pietà di Maria, che mi faccia ritornare alla semplicità e al coraggio di allora; perché quando un così “bel giorno” accade e si vede improvvisamente qualcosa di bellissimo, non si può non dirlo all’amico vicino, non si può non mettersi a gridare: “Guardate là!”. E così successe[1]». In un’altra versione del racconto, le conseguenze le descrive così: «L’istante, da allora, non fu più banalità per me. Tutto ciò che era, perciò tutto ciò che era bello, vero, attraente, affascinante, fin come possibilità, trovava in quel messaggio la sua ragione d’essere, come certezza di presenza in cui era speranza di tutto abbracciare».

Per farla breve, e per rimandare il resto, cioè tutte le pezze d’appoggio che ho trovato nella mia ricerca, al piacere della vostra lettura, a me sembra che nel leggere La vita di Gesù Cristo di Fornari, l’animo di Giussani abbia avuto la stessa vibrazione di quel bel giorno in cui ascoltò la lezione di don Gaetano Corti sul prologo di Giovanni. La conferma, da adulto, di ciò che tanto lo provocò da adolescente.

Una vibrazione certamente rafforzata dal modo in cui Fornari racconta l’uomo Gesù di Nazareth, soprattutto lo sguardo penetrante che ha su ogni uomo che incontra. «Se l’indole dell’anima si legge nello sguardo, la forza dello sguardo di lui per certo era irresistibile[2]». Uno sguardo irresistibile. E ancora: «Coloro che non conobbero Gesù in terra e non l’amarono, forse non gli mirarono mai negli occhi, o la perversità del loro cuore li aveva instupiditi[3]».  Anche questo è interessante: non dice li aveva resi cattivi, non instupiditi, cioè incapaci di conoscere la realtà, perché il cristianesimo, come ha insegnato Giussani, è una conoscenza nuova della realtà.

Il cristianesimo ridotto, in senso positivo, cioè ricondotto in sintesi, allo sguardo di Gesù su ognuno di noi. Chi ha seguito e segue don Giussani quante volte se lo è sentito ricordare?

Scrive in Alle origini della pretesa cristiana, che quello di Gesù «era uno sguardo rivelatore dell’umano cui non ci si poteva sottrarre. Non c’è nulla che convinca l’uomo come uno sguardo che afferri e riconosca ciò che esso è, che scopra l’uomo a se stesso».

Uno sguardo che ritorna nel racconto di taluni episodi del Vangeli, dove Fornari applica la tecnica dell’immedesimazione immaginativa. Lui è particolarmente colpito dalla figura di Maddalena che lava con le lacrime i piedi di Gesù. E immagina:

«Forse quella mattina ella era presente quando Gesù guarì l’ammalato alla piscina, e lo aveva udito parlare nel tempio, o udite le minacce de’ farisei che lo volevano uccidere, o lo aveva semplicemente visto, ed uno sguardo di lui era caduto sopra di essa quando lo guardava: uno sguardo pieno di pietà, nel quale come per un lampo le fu dato di mirare la divina bellezza dell’anima di Gesù. E quel lampo operò in lei due effetti: le specchiò la deformità dell’anima sua; e le rivelò l’esistenza reale e viva di una bellezza a cui si sentiva nata, e che aveva cercata indarno altrove, infangando l’anima sua. Perciò ella corre, si mette ai piedi di lui, li bagna, e piange[4]».

Ancora lo sguardo di Gesù e Una bellezza a cui si sentiva nata, e che aveva cercata indarno, cioè inutilmente, altrove.

A me questo brano commuove molto, perché è il cristianesimo presentato (nell’Ottocento quando l’estetica teologica di von Balthasar ancora non era nata) come una bellezza di cui ha nostalgia il cuore dell’uomo e da cui il cuore dell’uomo è irresistibilmente attratto quando la incontra in carne ed ossa, davanti ai propri occhi.

Chi ha qualche famigliarità con i testi di Giussani ritrova facilmente, in brani come questi, quel metodo di lettura dei vangeli – immedesimazione immaginativa – che dal 1954 in poi ha affascinato tante generazioni di ascoltatori e lettori di Giussani.

Non è l’unica consonanza che ho trovato. Un’altra che mi piace sottolineare è quella di ragione, intesa come finestra spalancata sulla realtà, tanto che nel libro ho voluto mettere in evidenza un filo rosso che unisce Fornari (1869), Giussani (1986) e Benedetto XVI (2011) nel celeberrimo discorso al Bundestag.

«Or chi è libero; – si chiede Fornari – colui che è chiuso tra quattro mura di una prigione, o chi gli è permesso di correre per l’ampia terra? E come dunque fa serva la mia mente Gesù Cristo, il quale mi apre alla vista dell’intelletto l’infinito cielo?[5]». Quattro mura chiuse, un bunker, è la stessa immagine che usa Benedetto XVI per criticare la ragione positivista. Che poi aggiunge: «Bisogna tornare a spalancare le finestre, dobbiamo vedere di nuovo la vastità del mondo, il cielo e la terra ed imparare ad usare tutto questo in modo giusto[6]». E Giussani dopo aver paragonato la ragione positivista ad una stana chiusa, dove non è possibile guardare oltre, dirà: «la ragione è uno sguardo aperto, o, per restare nel paragone, non stanza ma finestra spalancata su una realtà nella quale esso non ha mai finito di entrare; realtà che l’uomo possiede e sperimenta come sua nella misura in cui vi aderisce, vi obbedisce. (..) Per questo la religiosità è il culmine della razionalità, che rappresenta appunto l’indicazione della totalità dei fattori[7]»

Infine due parole sul mio lavoro. Mi sono incontrato per la prima volta con il nome di Vito Fornari lavorando al profilo biografico di Giorgio La Pira scritto per le edizioni Paoline. Mi aveva colpito quanto La Pira avesse assorbito l’idea che la storia è fondamentalmente storia di Gesù di Cristo, la biografia di uno solo, scrisse Fornari. Poi ero rimasto sorpreso quando scopersi, per caso, che Giussani citava molto favorevolmente l’abate di Molfetta. L’attenzione mi si è risvegliata con l’evento del centenario di Giussani, nel 2022, vedendo che nessuno degli illustri studiosi che hanno scritto saggi su saggi avesse trascurato Vito Fornari e quel “per me fondamentale” di Giussani.

Commentando il bel giorno, il Giuss scrive: «Ciò che mi diversificava da chi mi circondava era la voglia e il desiderio di capire. È questo il terreno su cui la nostra devozione alla ragione nasce».

Anche io mi sono mosso con la voglia e il desiderio di capire, utilizzando gli strumenti che possiedo, che non sono quelli di un accademico, ma di una persona curiosa e appassionata al carisma di Giussani. Lavorando sui suoi testi per confrontarli con quelli di Fornari, ho fatto mia, almeno per un briciolo, quella che lui chiama la nostra devozione alla ragione. Non so quanto sia valido il risultato, lo offro ai lettori perché esprimano il loro giudizio, lo offro alla comunità scientifica perché faccia meglio dove io ho difettato.

Il mio desiderio è che venga apprezzato questo movimento che ha caratterizzato il mio ultimo anno: prendere sul serio un giudizio di Giussani, lavorarci sopra perché nessuno ancora lo ha fatto, scrivere un testo e offrirlo come testimonianza di una appassionata affezione al carisma incontrato nella mia giovinezza.

Ho dedicato questo lavoro ai miei figli, ai nipoti, ai giovani di questo tempo, perché spero per loro lo stesso entusiasmo per un pensiero così pertinente alle esigenze della vita.


[1] L. Giussani, L’avvenimento cristiano, Bur Rizzoli, 1993, pp.31-33.

[2]V. Fornari, Della vita di Gesù Cristo Lib. II, op. cit., p.145.

[3] Ibidem.  

[4] Ibidem, p. 338.

[5]Ibidem.

[7] Ibidem, p. 98.